Qualche riflessione sul concetto di usabilità dei siti WEB

Determinante per il successo, ma difficile da definire.

14 luglio 2004

Quando si parla di siti inevitabilmente si finisce prima o poi per affermare che un sito deve presentare buone caratteristiche di usabilità.

Chi potrebbe non essere d’accordo con una simile, e tutto sommato banale, affermazione?

Il passo successivo è quello di chiedersi che cosa sia un sito usabile e qui si rischia spesso di finire in una serie infinita di definizioni e di contro definizioni. Basta poco lavoro per accorgersi come sia molto difficile pervenire ad una definizione formale di un concetto che a prima vista sembra piuttosto semplice.

Un approccio pragmatico consiste nel considerare il sito un tool, uno strumento di lavoro: una considerazione basilare dunque ci porta ad osservare come nella valutazione della bontà di un tool sia molto importante considerare oltre allo strumento il binomio costituito dal problema che lo strumento vuole risolvere e lo skill di chi quello strumento dovrà utilizzare.
Il cacciavite a stella del mio coltellino Victorinox (il tool simbolo stesso del tool) va benissimo per stringere la vite del cambio della mia bicicletta in mezzo alla strada, sarebbe pessima però nelle mani di un orologiaio ed a sua volta il prezioso e precisissimo cacciavite dell’orologiaio sarebbe del tutto inadeguato nelle mani di un astronauta che debba montare una parte della stazione spaziale orbitante.

Chi come me da anni si occupa di software prima e di siti Internet poi ha passato buona parte delle propria vita professionale cercando una definizione di usabilità applicabile al proprio lavoro. Qualche settimana fa sono incappato in un volume di Krug che si legge in poche ore e che ne offre tra l’altro una innovativa definizione.

Thomas Watson, l’uomo che fece della IBM un colosso mondiale, negli anni della grande crescita ordinò di mettere in ogni stanza, su ogni scrivania, su ogni cartelletta una scritta: Think, pensa! Un invito per tutti a pensare bene prima di agire.

Krug intitola il proprio libro in modo sorprendentemente antitetico: Don’t make me think, Non fatemi pensare. L’idea che sta alla base non è che gli utenti non debbano pensare, ma che gli utenti debbano pensare ai problemi che devono risolvere e non all’uso della interfaccia o alla navigazione nel sito. Chi accede alla rete ha di solito fretta vuoi perché ha bisogno di una informazione, vuoi perché l’immensità della rete fa si che ci si senta a disagio se per una cattiva progettazione del sito il tempo che è costretto a passarci lo deve sacrificare alla navigazione su altri siti.

Chi progetta interfacce deve dunque impostare le cose in modo che risultino all’utente il più possibile naturale ed immediata nell’uso.
Del resto non si vede perché io possa salire su di una automobile in luoghi lontanissimi del mondo e guidare senza dovere leggere un manuale e senza dovere troppo pensare.
L’automobile ha raggiunto quella sostanziale invisibilità che il software sta ancora cercando e che i siti sono spesso molto lontani dall’avere raggiunto.

Gli utenti cambiano, stiamo passando da chi va in Internet perché vuole essere on-line a chi in rete ci va sempre di più per fare qualche cosa di utile. Quando apparvero le prime televisioni a colori si andava alla Fiera Campionaria per vedere questo nuovo strumento, oggi chi si avvicina ad una televisione vuole vedere un programma e non un televisore!

Usabilità dunque come mimesi dello strumento, come immediata comprensione delle modalità di accesso: oggi abbiamo macchine con tutta la potenza necessaria, strumenti con standard più che adeguati: se i nostri siti non sono immediatamente utilizzabili non potremo che dedurre che quello che è mancato è nella nostra capacità e fantasia!

 ——————————

Bibliografia (per chi ne vuole sapere di più):

Steve Krug, Don’t make me Think, a common sense approach to web usability, Bew Raiders Publishing, Indianapolis, Indiana USA

Donald A. Norman, The invisibile computer, MIT Press, October 1999